Dinner Club: mini rencensione e impressioni sul programma in onda su PrimeVideo.

Dinner Club è il nuovo programma di intrattenimento culinario/docu-serie in onda su PrimeVideo, a trazione Cracco. Sei puntate, tante quante sono gli attori famosi ospiti di questa irriverente e divertentissima tavolata (che, a me ha fatto un po’ pensare a LoL con la differenza che qui il gruppo di commensali può ridere alle battute (se e quando le capiscono, ovviamente, tipo la Ferilli ride perché vede gli altri secondo me)). La Ferilli, già; (ahimè) anche lei è seduta al tavolo (risulta attrice), insieme a (li elenco in ordine di gradimento, con Sabrina Ferilli ultimo posto): Valerio Mastrandrea, Pierfrancesco Favino; Diego Abatantuono, Fabio De Luigi e Luciana Littizzetto. A capo tavola, neanche a dirlo, Carletto (che, secondo me, in questo format, fa la sua porca figura nel senso che vengono fuori aspetti del suo carattere che non siamo abituati a vedere abitualmente: riesce nell’impresa di risultare finanche simpatico, pensate un po’!). Poche puntate e pochi ingredienti: a turno, ogni attore, gira l’Italia in compagnia dello chef stellato (a bordo dei più impensabili mezzi di trasporto, inclusa una zip line ahahah) alla ricerca di nuovi sapori, tra risate, scoperte e degustazione dei piatti tipici italiani e, alla fine, preparerà una cena per il gruppo. Sei cene, in totale, in cui il cibo italiano sarà il vero protagonista.

Per quel che mi riguarda, Dinner Club è promosso a pieni voti! È elegante, coinvolgente, travolgente, radical chic, audace, avventuroso, educativo e poi ha una fotografia magnifica; è talmente bello e ben confezionato da essere un mix di varie tipologie di programmi tra cui quelli che ti permettono di viaggiare stando comodamente seduti sulla poltrona di casa (si vedono dei panorami e posti mozzafiato, specie in Sardegna). È un programma corale, in cui tutti contribuiscono alla realizzazione del prodotto, che dà l’idea di intimità.

Insomma, le cene somigliano realmente alle cene che si organizzano tra amici, dove ci potrebbe essere anche l’amica “scema” e qui veniamo alle note dolenti. Note dolenti che hanno un nome e un cognome: Luciana Littizzetto e Sabrina Ferilli, uniche donne del gruppo e uniche che mi hanno delusa. Lucianina perché la facevo molto più divertente e ironica, la Ferilli perché … beh, ora vi spiego perché mi ha negativamente impressionato.

Premessa: non seguo la Ferilli. Di lei ricordo solo la sfilata per lo scudetto della Roma, secoli fa. Che sia una bella è innegabile. Ma non balla. Ha cercato di giocarsi la carta della femme fatale (fallendo miseramente, poiché al tavolo ci sono persone di un certo spessore e rilievo artistico) e ha finito col fare la figura della rozza, burina ignorante (ha chiamato Morrison “Jimmy” cioè, ma de che parlamo raga) elegante quanto uno scaricatore di porto che rutta (i suoi interventi si possono riassumere così: “cazzo, cazzo, cazzo, e ancora cazzo” e se pensate che io stia esagerando sbagliate di grosso); è fuori luogo, fuori tempo, lenta, ti tocca mentre ti parla, insomma: una panterona sfiorita e imbarazzante che non ha nulla da dire.

Per me, lei ha rappresentato l’unico elemento di disturbo, ma voi vedetelo il programma perché, a parte lei, merita davvero.

Come ti smonto … “Il Divin Codino”, biopic su Roberto Baggio: una scena surreale!

Il 26 Maggio, su Netflix, è uscito il film biografico che ripercorre la carriera del calciatore Roberto Baggio: “Il Divin Codino”.

Io l’ho visto e vi dico subito che non mi è piaciuto per nulla. Brutto tutto. La fotografia, i dialoghi, le scene: personalmente l’ho trovato piatto e superficiale (per me, avrebbe avuto più senso realizzare una mini serie tv); non salvo nulla (ma vi invito lo stesso a guardarlo, anche perché pagate l’abbonamento ahahah).

Dovessi trovare un aggettivo per descriverlo, utilizzerei “dilatato”. “Dilatato”, nel senso di allungatotipo quando l’oste al vino ci aggiunge l’acqua. Peccato che se poco poco te ne intendi, te ne accorgi (e sai che figura demmerda). Ecco, “Il Divin Codino” è uno di quei film che di accattivante ha solo il lancio, che crea (troppe) aspettative; per il resto è una delusione totale.

Vabbè, ma basta complimenti e passiamo ai fatti e cioè alla parte più cagata che io abbia mai visto in un film italiano, ambientato in Italia.

E allora? E allora niente!

Te lo smonto qua:

La scena in questione, sopraggiunge alla fine (avevo cliccato “pausa” dopo essermi chiesta “quanto diavolo manca alla fine di questa agonia?”).

Roberto Baggio è in macchina con il padre, a fare rifornimento; finito di abbracciati (manco stesse per morire qualcuno) arriva il benzinaio (che, nel frattempo, avrà pensato “ne avranno per molto ‘sti due? Io avrei da lavorare, tutti com’a questi faccio 10 clienti al giorno ziocan) che chiede: “Buongiorno, quanta ne mettiamo?” “50 per favore” e quel benzinaio che risponde? “Poi, per pagare, mi raccomando, qua alla cassa al bar?”.

Cosa? Dove paghi? Alla cassa al bar? Da quando in qua, in Italia, non si paga al benzinaio? Ma mica stiamo in America, che vai in cassa? Fatto sta che Baggio va in cassa e paga. Ecco, per me questa scena è stata la ciliegina su una torta … di merda.

(Boh magari, mi sbaglio; si usa pure qua pagare in cassa e io non lo so! Ovviamente, se così fosse … fatevi gli affari vostri, che campate cent’anni!)

“Pronto, Accademia della Crusca? Quello ha detto una … PILLONATA!”

Ci sono cose che mettono tutti d’accordo. Tipo, che so … i leggins non sono pantaloni; non si parla a bocca piena; si può bussare in testa a chi insiste che “qual è” si scriva con l’apostrofo (un colpetto come quando vai al super a scegliere i cocomeri) … il caffè va bevuto amaro, ah no questo no (comunque il caffè VA bevuto amaro: caso chiuso).

Insomma, esistono argomenti poco discutibili e inoppugnabili … e Pillon rientra nella categoria. Perché una cosa è certa: Pillon è un omofobo, sessista.

Del resto, basta leggersi l’ultima perla che ha partorito in merito alle donne (ma l’elenco delle scemenze che tira fuori dal cilindro questo soggetto è, pressoché, infinito e io mi rifiuto di farlo, perché ho una dignità e non è che posso avvelenarmi il fegato per lui eh):

Tuttavia, proprio queste sue esternazioni anacronistiche, degne dell’uomo delle caverne (con tutto il rispetto per quest’ultimo) mi hanno fatto riflettere e mi sono detta: come possiamo definire, in modo chiaro ed esplicito, senza dare luogo ad equivoci e fraintendimenti un “pensiero” di tale levatura morale?

Da qui, l’idea di proporre l’entrata in scena del neologismo “pillonata”, come sinonimo di “cazzata” (cazzata grande, però, eh).

Già me lo immagino, nel dizionario, dopo la parola “pillola” (boh, vado a occhio, eh):

PILLONATA:

s. f. [der. di Pillon], volg. – sciocchezza, stupidaggine, corbelleria sessista: dire una pillonata;

Intanto, io il modulo per la segnalazione di nuove parole l’ho compilato (e inviato) nella speranza che la redazione prenderà in esame il mio suggerimento!

“Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia” ma cos’è? (In omaggio una precisazione)

Oggi, 17 Maggio 2021, è la “Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia”. Già il fatto che, ancora, si debba celebrare una giornata ad hoc per la comunità LGBT la dice lunga, ma vabbè, ben vengano queste manifestazioni volte a promuovere la sensibilizzazione verso chi, ancora oggi, viene discriminato per il suo orientamento sessuale. (Ahahaha, giuro, a me viene da ridere solo a scrivere “discriminato per il suo orientamento sessuale”. Capisco discriminare le persone perché indossano gli stivaletti bianchi, la canotta, le scarpe con le zeppe (e non necessariamente insieme, eh): ma può una persona essere discriminata perché decide di amarne un’altra dello stesso sesso? Boh, stam’a ffa i ridicoli proprio).

Il 17 Maggio, non è una data scelta a caso: in quel giorno del 1990, infatti, l’Oms cancellò l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, definendola per la prima volta «una variante naturale del comportamento umano». In pratica l’hanno capito tutti che definire “malato” un gay è una cagata pazzesca tranne Pillon e i suoi discepoli. (Dipendesse da me, istituirei una “Giornata nazionale contro la stupidità di Pillon” ma, dal momento che ancora non mi è stato riconosciuto lo status di “regina di tutte le galassie” non ho margini di azione. È un peccato, lo so, ma è così!)

Saprete, sicuramente, che la bandiera simbolo che più rappresenta la comunità LGBT è la “Rainbow Flag”, nota anche come Bandiera della Libertà (Freedom Flag). Ma sapete cosa? Spesso, troppo spesso direi, viene confusa con la Bandiera della Pace. Colpa dell’arcobaleno che le caratterizza entrambe. Ecco: a voi piace essere scambiati per qualcun altro? No. E allora basta fare confusione tra le due e vediamo le differenze. La prima, vabbè, una ha la scritta “Pace” l’altra no. Ma a cambiare, sono soprattutto i colori – che variano sia come disposizione che come numero.

Nella “Bandiera della Pace”, i colori dall’alto in basso o da sinistra a destra sono: viola, blu, azzurro, verde, giallo, arancione, rosso;

Nella bandiera LGBT i colori dall’alto in basso o da sinistra a destra sono rosso, arancione, giallo, verde, blu, viola ognuno con uno specifico significato, rispettivamente: vita, salute, sole, natura, arte e spirito. In origine, c’erano anche il rosa (la sessualità) e l’indaco (l’armonia), ma sono andati perduti (probabilmente hanno chiesto indicazioni stradali a una come me, che ha il senso dell’orientamento di uno affetto da labirintite e … oh, vabbè, capita)!

Detto questo, una cosa è certa: la diversità è una ricchezza! Prima ve ne fate una ragione, meglio è.

Sì, dico a voi … ottusi e con le pezze al culo! Perché è proprio così che vi immagino: piccoli, poveri, miseri e … con le pezze al culo!

C’era una volta una cavigliera d’oro … poi ha fatto harakiri! [Art semiserio ahahah]

Non tanto tempo fa acquistai una caviglierad’oro, per l’appunto. Lo so cosa vi state chiedendo: “ma perché, esistono le cavigliere d’oro?”. La risposata è “sì”. (Io stessa l’ho scoperto per puro caso, durante una sessione di shopping terapia ahahah: passo davanti alla vetrina di una gioielleria e sbaaaam la vedo. Il verbo “acquistare” che ho utilizzato all’inizio di questo articolo vi avrà fatto intendere che non mi sono limitata a guardarla. Beh, insomma, sì, ecco, l’ho comprata. Era estate, cosa avrei dovuto fare? Mica è colpa mia se non era Inverno!?).

Non faccio neanche in tempo a tornare a casa che me la allaccio alla caviglia. Bellissima! Piccola premessa: non sono quel tipo di persona che una volta comprata una cosa, sta lì a fare attenzione “Oddio, mo se sporca. Oddio, mo se rompe. Oddio, se rovina. Oddio, mo se consuma”. No! Frega nulla! Quindi, anche in questo caso, l’ho “montata” e ciaone.

Ma, vi dicevo, era estate … e l’estate si va la mare, è legge proprio. Indovinate? Quella gran figlia di … Loredana ha fatto harakiri. D’accordo, invece di squarciarsi il ventre con una lama sacrale s’è squarciato il gancetto della chiusura (o, almeno, credo perché avendola persa non so com’è andata davvero. Magari ha fatto la fine degli spaghetti in mano agli stranieri: spezzata). Fatto sta che io mi sono ritrovata a caviglia nuda ahahhaa. (Che poi, chissà se l’ho persa davvero quel giorno).

Ci sono rimasta m a l i s s i m o !

Roba che ho ripassato il rosario a mente, nei dettagli proprio, perché mi piaceva troppo! Ma vabbè, ormai era andata!

L’estate scorsa, ecco che ecco che spunta un “vu’ cumprà” (è socialmente accettabile il termine “vu’ cumprà”, o insorgono le categorie di rappresentanza?), lo fermo e gli chiedo “ehi scusa, c’hai na ‘ssigaretta” ah no, quello era Pino dei Palazzi. Daiii ahhahah, gli chiedo se avesse una cavigliera. E quello mi fa “no”. “Ma come no?” penso “Ma che cazzo! Ho beccato l’unico ambulante della costa che non vende la cavigliera” allora gli faccio: “E queste che hai tra le mani che so’ scusa?”. “So’ collane”. “Ah, e qual è il problema? Dammene una va!”. Taac, dopo aver barattato sul prezzo come solo i mercanti più abili sanno fare (non è vero, non so tirare sul prezzo, mi vergogno solo a pensarlo, per questo se mi dicono 10 do 10, 20 tiro fuori le 20 e via dicendo) avevo la mia nuova collana da appendere alla caviglia. Solo che a differenza di quella pregiata questa (che, inizialmente non avevo apprezzato), a distanza di un anno, ancora sta al suo posto.

Qual è la morale?

La morale è che troppo spesso tendiamo a sopravvalutare le persone, in virtù di quell’aurea di prestigio che le accompagna e a “disprezzare”, a trattare con troppa sufficienza coloro i quali, invece, necessitano di un po’ più di tempo per entrare in gioco e rivelarsi. Non parlo solo di apparenza, perché quella conta molto (apparenza, anche nel senso di “modo di approcciarsi”, perché per me l’abito spesso lo fa il monaco, avoja). Parlo proprio di partire prevenuti. Spesso attribuiamo un valore eccessivo, in quanto valore universalmente riconosciuto da tutti … a scapito delle chicche e delle persone “di nicchia”. Ora, per esempio, guai chi me la tocca questa collanina che ho trasformato in cavigliera, ma quando l’ho comprata, ammetto di averla sottovalutata. I cavalli di razza si vedono sulle lunghe distanze e a distanza di due stagioni, posso dire che la tonante cavigliera d’oro è stata stracciata dalla piccola cavigliera con i cuoricini … bellissima!

(E buona Festa dei Lavoratori … anche se io ancora aspetto che qualcuno mi dica: “in realtà, sei una ricca ereditiera”!)

Come ti smonto … WHAT / IF! [+ una cosa che mi ha letteralmente MANDATO IN BESTIA durante tutta la visione! GRRR]

Vi avevo detto che per togliermi dalla mente quella cagata immane di “Behind Her Eyes” avevo scelto di guardare la prima serie tv che mi sarebbe capitata a tiro? Beh, ecco: così facendo ho messo in pratica il famoso detto “dalla padella alla brace”. La prima serie che mi è capitata a tiro, come saprete – perché l’avete letto qui (e facciamo che l’avete letto, ahahah) – è stata, appunto, WHAT / IF che non solo non mi è piaciuta granché (colpo di scena a parte) ma ve la smonto pure.

Sappiate che il ritardo nella pubblicazione di questo articolo è dovuta al fatto che volevo dare il tempo a tutti di vederla, questa serie*.

Sarò breve: Lisa, scienziata idealista e ideatrice di una start up medica (la Emigen), grazie ai finanziamenti della benefattrice (interpretata da Renée Zellweger) finalmente realizza il sogno della sua vita: brevetta il suo protocollo per curare i bambini affetti da una rara patologia, altrimenti destinati a morire.

Dunque, Lisa, idealmente, potremmo considerarla una (piccola) Stephen Hawking con i tacchi … piccola, rispetto ad un genio come lui, ma popolare (almeno nella sua palazzina ahahah).

Bene, te la smonto esattamente qua, What / If: esattamente quando le ingabbiano il marito. Per la cronaca, lei era volata con la sua benefattrice ad un convegno per esporre i risultati della sua laboriosa ricerca per un imminente lancio sul mercato. Il caso ha voluto che durante questa breve (ma che dico breve, brevissima assenza (durata un giorno, praticamente)) le abbiano arrestato quel pezzo di stronzone del marito. Indovinate? Lei rientra a casa, non lo trova e (assurdo assurdissimo) non sa che fine abbia fatto.

Cioè, arrestano la moglie di Stephen Hawking e nessun quotidiano online, nessuna Rete Capri, nessua @puffettina69 di tuitter, lo scrive?

Ma che big cagata è questa?

Vogliono farci credere che una scienziata del suo calibro, in piena ascesa, non ha un Travaglio con un dossierino alle spalle che faccia i titoloni sull’arresto del marito? Per omicidio, poi, manco a dì per aver attraversato due regioni rosse senza pass vaccinale e/o autocertificazione. Ma chi ce crede!

Infine, un disturbo che ha caratterizzato l’intera visione dello show: le labbra secche della Zellweger. Giuro: sono stata tutto il tempo a sperare che se le umettasse (non dico sempre, né di continuo ma) almeno una volta a puntata … giusto per fare contenta me. Invece no.

*non è vero: il ritardo è dovuto al fatto che 1) non avevo voglia, 2) non avevo tempo ahahahhahah

Cià!

Sostenere una libreria indipendente, senza uscire di casa, si può! Vi spiego come!

Ubi maior minor cessat, il 99% delle volte è così: pesce grande, mangia pesce piccolo. In questo caso “libreria grande” … mangia “libreria piccola”. Inutile girarci intorno: le grandi catene di librerie non lasciano che le briciole alle indie (anche se, causa pandemia, in molti hanno riscoperto le librerie di quartiere dunque anche quelle a conduzione familiare, indipendenti, hanno respirato una boccata di ossigeno).

Ma non tutto è perduto, neanche in zona rossa. Sostenere una libreria indipendente è possibile e io l’ho scoperto totalmente per caso. Sì, per puro caso. Chi mi conosce sa che leggo principalmente su Kindle (che ho già definito la più grande invenzione degli ultimi tempi) … ma le librerie le frequento lo stesso, ovvio, anche solo per prendere spunto per le nuove letture. Capita, però, che non tutti i titoli siano disponibili in formato ebook e allora due sono le cose: o dirigo la scelta su un’altra opera (cioè, me ne faccio piacè n’altro libro, molto semplicemente ahahaha) o compro il libro fisico. Ma con la zona rossa? Sì, ok, in libreria puoi andare, ma per chi, come me, cerca di ridurre al massimo le uscite (questa è una delle cose che non avrei mai pensato, non solo di scrivere, ma anche di fare. Io che non esco? Questa è follia, ma anche un’altra storia vabbè) non rimane che buttarsi sugli store online.

E qui la scoperta! Su Instagram seguo la pagina di una libreria indipendente che, a cadenza giornaliera, pubblica titoli più o meno nuovi. Che faccio, io? Quelli che mi piacciono, li compro in ebook. E così avrei voluto fare anche con “La signora del Riad”, ma surprise surprise (bella sorpresa del ca’) esiste solo in versione cartacea. Che faccio? Vado su Amazon, ma all’ultimo secondo mi viene il rimorso di coscienza (io che ho un rimorso di coscienza, ahahahah, oddio quante cose strane che capitano causa Covid): mi pareva giusto contattare la libraia di IG. Ecco allora che ho scoperto che esiste questo sito “Bookdealer” che sostiene il mondo dell’editoria indipendente. Come funziona? Selezioni il libro, lo metti nel carrello, selezioni la libreria “di quartiere” da cui vuoi acquistare e taaac, due giorni dopo (massimo) ti arriva il libro, a casa. In alternativa, si può anche scegliere il ritiro nella libreria.

Più semplice di così si muore … o siete la Bergonzoni!

[Sono stanca morta, ho scritto di fretta, abbiate pietà ahahahhaah]

“WHAT / IF “: cosa rischieresti per ottenere tutto? 10 motivi per iniziare questa serie … che ho scelto “al buio” [NO SPOILER]

Come saprete, sono reduce da “Dietro ai suoi occhi” e dietro i miei di occhi, non è un segreto, ha piovuto … dato che mi ha fatto piangere e non nel senso buono di “commuovermi” perché troppo bella, ma piangere proprio per quanto è stata brutta (se non l’avete letto, è grave ok, ma potete rimediare cliccando qui).

Il fatto che io sia sopravvissuta a cotanto spettacolo indecente, mi ha spinto alla ricerca di una nuova (e spero brillante) serie tv, capace di cancellare questo brutto ricordo. Tipo chiodo schiaccia chiodo. Ecco, allora, che ho premuto play sulla prima serie tv che mi è capitata a tiro (a chi tocca non se ‘ngrugna ahahaha), senza conoscere trama e retroscena, e la prescelta è stata lei: WHAT/IF.

Per ora ho visto l’episodio pilota (57 minuti) e, ammetto, di averlo apprezzato e molto!

Per questo motivo, ho deciso di elencarvi 10 motivi per cui vale la pena guardarla.

1. C’è Renée Zellweger (è la prima volta che recita in una serie tv);

2. L’ideatore di questo thriller neo-noir è Mike Kelley, lo stesso di Revenge (che io ho amato alla follia): una garanzia, praticamente!

3. La storia inizia con un monologo, molto accattivante, sul libero arbitrio e sul fatto che – se lo desideriamo ardentemente- possiamo essere e fare tutto ciò che vogliamo, nella vita;

4. Anne Montgomery (la Zellweger), appare sin da subito un personaggio folle, misterioso e potente al tempo stesso; è autrice di un best seller legato al monologo ed è considerata il finanziatore più spietato degli Stati Uniti;

5. C’è il lupo cattivo e l’agnellino, due nello specifico: moglie e marito, Sean e Lisa che, a differenza di Anne, non navigano nell’oro dunque, facilmente influenzabili;

6. Si parte a bomba con la questione morale, più precisamente della dubbia moralità: cosa siamo disposti a sacrificare per raggiungere i nostri obiettivi? Cosa rischieresti per avere tutto? Il matrimonio?

7. C’è la proposta indecente: ti do il denaro in cambio di una notte con tuo marito (con tanto di contratto e clausola di non diffusione di qualsiasi tipo di informazione relativa a quella fatidica notte, né tra coniugi né con amici. Ciò che succede resta tra Anne e Sean, il caso è chiuso);

8. C’è l’inevitabile cambiamento conseguente alla proposta indecente e la relativa trasformazione etica di ogni individuo!

9. Le gambe di Renée Zellweger: Cristo, che gambe! Fantastiche!

10. Vabbè, dai, che vi costa? ahahaha

Ogni “Dietro i suoi occhi” … c’è una grande pazienza (e un bel culo)! [NO SPOILER, lo potete leggere!]

Probabilmente, l’unica cosa bella che vedrete in questa miniserie britannica su Netflix sono le fossette di Venere del dottor David Ferguson (mentre è al letto con sua moglie Adele) e per farlo, dovrete aspettare l’ultimo episodio. La nota positiva è che, in quanto miniserie, gli episodi sono solo sei (certo, di 50′ minuti ciascuno, ma questi sono dettagli) per cui, ora che ve l’ho detto, se l’avete iniziata e siete tentati di abbandonarla, sappiate che vi perderete questo spettacolo.

Ok, ci sarebbe anche un’altra cosa bella, anch’essa presente all’ultimo episodio (l’avranno fatto di proposito? Boh/Non sa /non risponde ahahah): la camicetta in organza con le margheritine di Zara, di due anni fa, indossata da Louisema qua, lo ammetto, sono di parte perché ce l’ho pure io. Quindi: obiezione vostro onore. Accolta. Restate sulle fossette sul culo di Adam e andiamo avanti. (No prima un’altra cosa: ora che ci penso, la tazzina piena di caffè sul tavolo che David prende per bere e che, tornata sul tavolo è completamente pulita come se non avesse mai contenuto nulla era un indizio … un segno che mi diceva “lascia sta, non vale la pena”. Morale? Mai sottovalutare i segni!)

Insomma, avrete capito che i protagonisti di “Behind Her Eyes” (ma sì, diamoci un tono) sono tre: lo psichiatra David Ferguson (Tom Bateman), sua moglie Adele (carica di soldi) e la segretaria poraccia (in tutti i sensi) Louise (Simona Brown) madre single che, indovinate?, si invaghisce del bel dottore (senza averlo visto nudo!).

Ma la povera Lou ha pestato i piedi della puttana sbagliata (ma sì, diamoci un tono ahahahahah) e si infila in una storia più grande di lei … che ha dell’incredibile, no davvero … è incredibile davvero la storia, perché guardare questa serie equivale ad abbandonare ogni logica dal momento che ad un certo punto (dopo il terzo episodio, credo) salta fuori un elemento sovrannaturale: una tecnica chiamata “proiezione astrale” che Adele (donna problematica che dopo il rehab a seguito della morte dei genitori cerca di ricostruirsi una vita) insegna a Louise (sì le due sono diventate amiche, sì) per per controllare i sogni ed astrarsi letteralmente dal proprio corpo.

Ecco, sappiate che l’ultimo episodio ruota attorno a questa cagata di dimensioni colossali chiamata, appunto, “proiezione astrale” indispensabile per comprendere il finale (cagata pazzesca anch’esso, ecco spiegata l’esistenza dell’# #WTFThatEnding) e il senso dei continui flashback della vita di Adele in rehab e della sua amicizia con Rob (già Rob, co-protagonista super protagonista in realtà).

Ci vuole pazienza! Oh, però voi ricordatevi delle fossette eh!

Ah, quasi dimenticavo: Adele è interpretata da Eve Hewson, la figlia di Bono Vox. Che sbadata!

Il linguaggio sessista, nel 2021? Ma basta! Ma che noia!!!

In molti, ieri, mi avete chiesto cosa intendessi per “battute” e spiritosaggini costruite sugli stereotipi di genere e per questo ho deciso di approfondire l’argomento (ma non troppo, perché sennò poi mi accusate di essere noiosa e abbasso la noia foreva end eva)*.

L’idea del post su Twitter (comunque a noi di tuitter piace scrivere tuitter, se siete di FB non potete capire) mi è venuta dopo che in tl (a questo punto credo che la mia sia maledetta!) mi sono passati due post che mi hanno fatto alzare la pressione– uno di una donna, l’altro di un uomo – entrambi contenenti un meme che aveva, per protagonista, un “luogo comune” legato al genere femminile!

In quello postato dalla donna, c’era questo:

mentre in quello dell’uomo, c’era un parcheggio a spina di pesce con le macchine parcheggiate all’interno degli stalli obliqui ma in senso opposto, insomma al contrario: invece che verso sinistra, verso destra! Insomma: non sappiamo guidare e non siamo professionali, secondo loro.

Ecco, per me (ma credo e spero anche per molti e molte di voi) non c’è nulla da ridere. Cioè, dai, non fanno ridere queste cose! Al massimo piangere, perché se nel 2021 c’è ancora chi si diverte con queste cagate stiamo messi (messe, soprattutto) malissimo!

Perché questo genere di “battute” è come una gabbia! Perché anche basta! Perché queste sono discriminazioni belle e buone che dovrebbero essere superate! Trattasi di linguaggio sessista fondato sugli stereotipi di genere ECCHEPPALLE! Basta!

Ecco qualche esempio (a cui consiglio di aggiungere, alla fine, questa di espressione “un par de cazzi”)

1)“donna al volante, pericolo costante” un par de cazzi!

2)”chi dice donna dice danni”

3)”Hai il ciclo, ecco perché sei nervosa”

4) “o sei sei bella o sei intelligente” (ecco questo mi manda in bestia)

5) “signora o signorina”, ma signora o signorina cosa? Avete mai sentito la stessa domanda ricolta ad un uomo? No, ovviamente!

Ma basta co’ ste cazzate! Per non parlare del linguaggio androcentrico, attorno al quale si è organizzato l’universo linguistico (“Gli uomini della preistoria”, “La storia dell’uomo” e simili ). Occorre adeguare il lessico e linguaggio della comunicazione perché, ehi, anche noi donne facciamo parte della società belli!

*Non è vero, nessuno m’ha chiesto niente, me la so’ cantata e sonata ahahahahahah